202207.14
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Ambiti di applicazione della direttiva (UE) 633/2019 nel confronto con il d. lgv. 198 /21: eccesso di delega ed eterogenesi dei fini in particolare quanto ai termini di pagamento

  1. Ambito di applicazione della direttiva 633/2019

Nel considerando 9)  della direttiva si legge:

Il numero e le dimensioni degli operatori variano tra una fase e l’altra della filiera agricola e alimentare. È probabile che le differenze nel potere contrattuale, che corrispondono alla dipendenza economica del fornitore dall’acquirente, portino gli operatori più grandi a imporre agli operatori più piccoli pratiche commerciali sleali. Un approccio dinamico, basato sulle dimensioni relative del fornitore e dell’acquirente in termini di fatturato, dovrebbe fornire agli operatori che ne hanno maggiormente bisogno una maggiore tutela contro le pratiche commerciali sleali. […] La tutela dei fornitori intermedi di prodotti agricoli ed alimentari, inclusi i prodotti trasformati, può servire anche a evitare una diversione degli scambi dai produttori agricoli e dalle loro associazioni, che producono prodotti trasformati, verso fornitori non tutelati”.

Nel considerando 12) si legge che :

“È opportuno tutelare i fornitori nell’ Unione non solo dalle pratiche commerciali sleali attuate da acquirenti che sono nello stesso Stato membro dell’acquirente o in uno Stato membro diverso da quello dell’acquirente, ma anche contro pratiche commerciali sleali attuate da acquirenti stabiliti al di fuori dell’Unione. Tale tutela potrebbe evitare eventuali conseguenze indesiderate, quali la scelta del luogo di stabilimento sulla base delle norme applicabili. Anche i fornitori stabiliti al di fuori dell’Unione dovrebbero beneficiare della tutela da pratiche commerciali sleali qualora vendano prodotti agricoli e alimentari nell’Unione. Non solo tali fornitori sono probabilmente altrettanto vulnerabili rispetto a pratiche commerciali sleali, ma un ambito di applicazione più ampio potrebbe evitare la diversione indesiderata degli scambi verso fornitori non tutelati, che vanificherebbe la tutela dei fornitori nell’Unione.

All’art 1 l’ambito di applicazione della direttiva viene delimitato a determinate pratiche commerciali sleali attuate nella vendita di prodotti agricoli e alimentari da parte di fornitori e acquirenti aventi un fatturato annuale inferiore o superiore a determinate soglie specificamente indicate.

Inoltre, al quarto comma del medesimo articolo si dice che:

La presente direttiva si applica alle vendite in cui il fornitore o l’acquirente, o entrambi, sono stabiliti nell’Unione”.

Le definizioni di acquirente e fornitore rispecchiano poi fedelmente tali concetti ed infatti all’art. 2 si legge:

2)  «acquirente»: qualsiasi persona fisica o giuridica, indipendentemente dal luogo di stabilimento di tale persona, o qualsiasi autorità pubblica nell’Unione che acquista prodotti agricoli e alimentari; il termine «acquirente» può includere un gruppo di tali persone fisiche e giuridiche;

4)  «fornitore»: qualsiasi produttore agricolo o persona fisica o giuridica, indipendentemente dal suo luogo di stabilimento, che vende prodotti agricoli e alimentari. Il termine «fornitore» può includere un gruppo di tali produttori agricoli o un gruppo di tali persone fisiche e giuridiche, come le organizzazioni di produttori, le organizzazioni di fornitori e le associazioni di tali organizzazioni;

  1. Lo scenario che ne consegue

L’ambito di applicazione della direttiva 633/2019 può conseguentemente essere riassunto come segue:

  • La direttiva intende tutelare tutti i soggetti della filiera alimentare e quindi sia i fornitori che gli acquirenti con particolare riferimento, quanto a questi ultimi, ai trasformatori che sono acquirenti di materie prime e fornitori di prodotti finiti (o anche intermedi);
  • le norme che vietano determinate pratiche commerciali (ivi considerate) sleali, sono applicabili solo nell’ambito degli scaglioni sopra evidenziati basati sulle dimensioni relative del fornitore  e dell’acquirente  in termini di fatturato;
  • le norme che vietano pratiche commerciali (ivi considerate) sleali sono applicabili a tutte le operazioni di commercializzazione intracomunitaria, nonché alle importazioni e alle esportazioni extra UE alla condizione che o l’acquirente o il fornitore siano comunitari. Nel caso degli acquirenti ciò potrebbe evitare eventuali conseguenze indesiderate, quali la scelta del luogo di stabilimento sulla base delle norme applicabili, mentre, quanto  al fornitore, si potrebbe evitare la diversione indesiderata degli scambi verso fornitori non tutelati.

2. Ambito  di applicazione del d.lgv 198/21

L’articolo 1.2 del d. lgv 198/21 non reca alcun riferimento alle “dimensioni relative tra fornitori e acquirenti in termini di fatturato”  ma si legge testualmente quanto segue: “Le disposizioni di cui al presente  decreto  si  applicano  alle cessioni di prodotti agricoli ed alimentari,  eseguite  da  fornitori che siano stabiliti nel territorio nazionale,  indipendentemente  dal fatturato dei fornitori e degli acquirenti.

Le definizioni di cui all’art. 2 poi non ripropongono  fedelmente quanto previsto dalla direttiva 633/2021 quanto a “fornitore” poiché  qui vi è omesso l’inciso “indipendentemente dal luogo di stabilimento di tale persona”.

2.2 Lo scenario che ne consegue

Nell’ambito di una interpretazione conservativa  sembra doversi concludere che il  d.lgv 198/2021 non si applica quando  il fornitore non sia italiano ( sia  UE o  extra UE) e l’acquirente sia italiano. In tal caso dovremmo ritenere comunque applicabile la direttiva 633/2019 con la conseguente operatività delle griglie di fatturato che invece non troverebbero applicazione qualora il fornitore sia italiano. 

3.   Problematiche rilevanti in particolare quanto ai termini di pagamento

La  omissione del riferimento alle griglie dei fatturati viene spiegata come segue nella Relazione Illustrativa al decreto:

In linea generale, si evidenzia che la disciplina introdotta si applica a tutti gli scambi commerciali aventi ad oggetto prodotti agricoli e alimentari, a prescindere dai rispettivi fatturati dei contraenti. Tale previsione appare in linea con quanto disposto dall’art. 9.2  della direttiva che stabilisce espressamente che“ restano impregiudicate le norme nazionali finalizzate a contrastare le pratiche commerciali sleali che non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva“. In considerazione della peculiarità del sistema agroalimentare italiano, caratterizzato da una straordinaria frammentazione della filiera – la più alta d’Europa – e tale per cui il fornitore si viene sistematicamente a trovare in una posizione di debolezza contrattuale, si è infatti ritenuto necessario confermare la scelta adottata dal legislatore già nel 2012 che, con l’art. 62 del decreto legge 24 gennaio  n. 1 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012 n. 27, ha esteso la disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e alimentari a tutte le imprese indipendentemente dal fatturato”. 

La spiegazione non sembra convincente né formalmente né sostanzialmente e in particolare:

  • Non è chiaro il collegamento tra la tutela dei soggetti con dimensioni inferiori e l’eliminazione delle griglie di fatturati  (il primo scaglione è fino ai due milioni di euro);
  • L’articolo 9.2 della direttiva lascia impregiudicate (i) norme nazionali precedenti che (ii) non rientrano nella applicazione della direttiva;
  • Non è vero che l’art.62 del DL 1/2021 ha dettato una disciplina sulle pratiche commerciali indipendente dal fatturato poiché  il decreto  Mipaf  199/2012 di attuazione dell’art. 62  all’art.1  (sempre sotto il  titolo “Ambito di applicazione”) richiama espressamente “le relazioni economiche tra gli operatori della filiera connotate da un significativo squilibrio nelle rispettive posizioni di forza commerciale”;
  • Ne deriva un possibile eccesso di delega nella applicazione della direttiva 633/2021.

Ciò premesso vanno considerate le problematiche di conformità all’ordinamento unionale e all’ordinamento costituzionale  di uno scenario in cui:    

  • una impresa italiana produttrice di pasta può acquistare grano dal Canada convenendo tempi di pagamento anche di 120 giorni  ove i rispettivi fatturati rientrino nella griglia;
  • una ditta francese produttrice di  biscotti   sarebbe  costretta al termine di pagamento di 60 giorni ove acquistasse farina in Italia    anche nel caso che i rispettivi fatturati fossero equilibrati;
  • una azienda della GDO italiana potrebbe essere indotta a preferire un   fornitore estero (unionale o extraunionale) con un “fatturato equilibrato” concordando un tempo di pagamento di 120 giorni piuttosto che subire  aprioristicamente il termine di pagamento di 60  acquistando da un fornitore nazionale;
  • in particolare ,in caso di commercializzazione tra soggetti italiani, sarebbe  sempre obbligatorio il rispetto dei termini di pagamento 30/60 giorni anche qualora i fatturati di fornitore e acquirente fossero uguali, in apparente violazione dei principi della direttiva.

Sembra evidente che, come spesso succede quando vengono emanate normative nazionali con effetti protezionistici, si determini una eterogenesi  dei fini  con pregiudizio degli operatori nazionali siano essi fornitori di materie prime  che trasformatori  che distributori  ed anche con pregiudizio del made in Italy  che si deve confrontare con una applicazione obbligatoria nazionale dei termini di pagamento di 30 o 60 giorni in maniera aprioristica  ed indifferenziata rispetto alla reciproca forza commerciale dell’acquirente.