201709.07
0

Biologico, vegano , biodinamico e vini DOC e DOCG

L’etichettatura dei vini DOC e DOCG alla luce delle nuove esigenze del mercato ( biologico, vegano, biodinamico)  

Anche nel settore dei vini si può verificare una tendenza sempre crescente ad assecondare le richieste dei consumatori all’acquisto di prodotti che potrebbero genericamente definirsi “sostenibili”, ovvero massimamente rispettosi dell’ambiente: di qui la diffusione pubblicitaria  dei concetti di “biologico”, “vegano” “biodinamico”.

Contestualmente è ben nota la progressiva affermazione di comportamenti di acquisto  che privilegiano  la “qualità” del prodotto specie nel settore vitivinicolo con la conseguente affermazione dei vini DOC e DOCG.

Come è altrettanto noto, seppure recentemente, la Unione Europea è intervenuta  per la disciplina del vino biologico con il regolamento 203/2012: d’altro lato nell’ambito della Unione, si sono succeduti diversi regolamenti per la disciplina  delle indicazioni geografiche protette  (a partire dal reg. 2081/1982  e da ultimo con reg.1151/2011).

Ne consegue che per un vino biologico DOC/DOCG saranno obbligatoriamente da applicarsi le metodiche di produzione di cui al regolamento sul vino biologico e le disposizioni del disciplinare DOC/DOCG.

Si tratta di due norme c.d. “verticali” in quanto si applicano ad una singola categoria di prodotti (ma ciò non esclude a priori la applicazione contemporanea anche di norme generali come il reg. 1169/2011 sulla informazione ai consumatori).

Nel caso di specie esse si applicano contemporaneamente ed è quindi opportuna una sinteticissima disamina delle possibili problematiche di coesistenza.

Infatti, sebbene dal punto di vista del bene protetto vi sia una chiara distinzione poiché la norma sul biologico tutela un metodo di produzione mentre il disciplinare tutela una origine, è anche vero che questa tutela della origine ha una sua ratio basata essenzialmente sulla relazione qualitativa e reputazionale tra la origine e il prodotto.

Ciò premesso si può immaginare che nella prassi qualsiasi problematica possa considerarsi risolta ove il prodotto sia sottoposto positivamente alla attività dell’ente di certificazione per il biologico e al Consorzio competente per DOC/DOCG:  il prodotto  infatti in tal caso soddisfa i  requisiti previsti da entrambi e potrà recare in etichetta sia il simbolo UE, che identifica i prodotti biologici, che la Denominazione

Va però notato che i disciplinari solitamente disciplinano anche la etichettatura del prodotto con disposizioni spesso di non agevole lettura ai fini che qui ne occupa.

Il MIPAF ha avuto modo di precisare che la disciplina speciale prevista per le DOP/IGP dalle norme comunitarie non esclude l’inserimento in etichetta di altre certificazioni riconosciute a livello comunitario (es. biologico, sistema di qualità nazionale), purché non attengano alle caratteristiche del prodotto definite dal disciplinare di produzione.

Il principio non appare di immediata lettura e probabilmente è indirizzato alle certificazioni che ineriscono ad aspetti qualitativi solitamente non compresi nel disciplinare (ad es. utilizzo di materiali di imballaggio ecocompatibili, certificazione di sostenibilità ambientale di impianto).

Non sembra però esservi ragione per smentire quanto sopra affermato in termini di applicazione contestuale, nel senso che il Consorzio negherà la classificazione  come Denominazione Protetta ove rilevi  un metodo  di lavorazione non previsto dal disciplinare (ma consentito  per il biologico) e viceversa  l’ente di certificazione ove la difformità sia riferibile al metodo  biologico (ma non al disciplinare).

L’aspetto di etichettatura merita peraltro un discorso a parte proprio per la esistenza di norme specifiche nel disciplinare: si ponga ad esempio in confronto l’articolo 7.5 del Disciplinare Doc Prosecco con l’art. 7.4 del Disciplinare DOCG  Conegliano Valdobbiadene – Prosecco.

Il primo recita:

Le menzioni facoltative, esclusi i marchi e nomi aziendali, possono essere riprodotti in etichetta soltanto in caratteri più grandi o evidenti di quelli utilizzati per la denominazione di origine controllata, fatte salve le norme generali più restrittive”.

Il secondo invece:

Sono consentite le menzioni facoltative previste dalle norme comunitarie, oltre alle menzioni tradizionali purché pertinenti ai vini di cui all’articolo 1”.

Per entrambe le norme si deve ritenere che la apposizione della certificazione biologica sia legittima ma solo per il DOC si impongono determinate dimensioni per i caratteri di stampa: per converso la dizione utilizzata per DOCG (se pure non molto chiara quando richiama le “menzioni tradizionali”), esclude l’utilizzo di “menzioni” (e quindi marchi di certificazione) non previste “dalle norme comunitarie”.

Conseguentemente solo per il Prosecco DOC sarebbero ammesse le menzioni “vegano” e “biodinamico”. Si tratta infatti, come noto, di sistemi di qualità non basati  su una normativa comunitaria bensì  a base autodisciplinare.

Tali sistemi autodisciplinari prevedono pur sempre capitolati produttivi tra l’altro non necessariamente sottoposti alla verifica di enti di certificazione (non esiste tale obbligo) e appare piuttosto complesso   che una medesima azienda di produzione vitivinicola sia in grado di assicurare contemporaneamente il rispetto degli obblighi previsti (a cominciare  dalla tracciabilità di filiera) per le diverse produzioni: prosecco “normale”, prosecco biologico, prosecco vegano, prosecco  biodinamico,  prosecco DOC.

Si tratta comunque di una questione di fatto poiché  sulla carta ciò sarebbe  possibile, residuando però una area di dubbio che concerne la rilevanza del richiamato concetto di “tradizione”.

Sembra infatti che, nell’ambito della concorrente competenza tra enti di certificazione e autorità di controllo sopra accennata, possa riconoscersi una sorta di “supremazia” dei Consorzi di tutela delle Denominazioni Protette, non foss’altro che per la diretta connessione con il concetto di origine.

Orbene nei disciplinari di produzione una funzione di grande rilievo è necessariamente dedicata al concetto di “tradizione” (si vedano ad esempio i riferimenti “alle condizioni ambientali e di coltura dei vigneti tradizionali della zona” ed alle “situazioni tradizionali di produzione”).

Sembrerebbe quindi compito assai delicato dei Consorzi la verifica del rispetto di questo parametro della “tradizione“  a fronte dell’uso in etichetta di menzioni come “biologico”, “vegano”  “biodinamico” con ovvio accento su queste ultime  non tanto  per la loro natura autodisciplinare ma soprattutto poiché esse rispondono alle più recenti esigenze di mercato e quindi se non si può escludere che il prosecco DOC sia da sempre (e quindi per “tradizione”) vegano  e/o  biodinamico (o  biologico) non può neanche ratificarsi  ciò a prescindere da un confronto tra questi sistemi e il disciplinare della Denominazione Protetta .

E’ ben vero che nella “tradizione” va ricompresa anche tutta la attività di innovazione negli anni svolta per l’adeguamento di un prodotto che, ove prodotto come in origine (questa volta in senso cronologico), non riscontrerebbe più le esigenze di mercato, ma è anche vero che nella informazione ai consumatori il primo canone è quello di conformarsi alle aspettative di questi ultimi (cfr. art.1.1 reg 1169/2011).

Sembrerebbe quindi auspicabile la promozione di accordi tra gli enti di certificazione competenti e i Consorzi atti a coordinare le rispettive attività; potrebbe inoltre valutarsi  la opportunità di integrare i disciplinari con espresse disposizioni di richiamo ai sistemi di qualità normativamente previsti e autodisciplinari.